IN genere preferisco astenermi dalla politica o da tutto ciò che vi gira intorno, non per mancanza d'interesse, ma perché perdo il controllo mentale e la lucidità quando si tratta di parlare di tutto lo schifo che ci circonda travestito da lustrini per il popolo che si ciba di carote. Faccio un eccezione perché primo, mancando da anni d questa città rimango piacevolmente colpita dal fatto che anche qui, finalmente, esistono movimenti di piazza, secondo, perché vi assicuro che la cifra di partecipanti (non gonfiata o smezzata a dipendenza dei commentatori), per una cittadina piccola e dormiente come la nostra merita tutto il mio rispetto. Posto quindi l'articolo che descrive l'attività, perché in tutta franchezza, per quanto semplice descrizione dei fatti, è bello leggere ogni tanto qualcosa che non abbia il solo scopo di declassare, distruggere, screditare o, al contrario innalzare ai monti dell'Olimpo l'accaduto.
LUGANO - Al suo arrivo in Piazza Manzoni, il corteo partito verso le 16.00 dal Campo Marzio e costituito, riferisce il comitato organizzatore, da circa 1'500 persone, ha ascoltato le parole registrate di Bill Arigoni, operaio, sindacalista, compagno della gente semplice, degli operai e dei più deboli, tragicamente scomparso il 12 febbraio scorso, è risuonata in una piazza ammutolita dalla commozione che con un lungo affettuoso applauso lo ha voluto salutare un'altra volta. «Il 1° maggio è sempre stato il Natale della nostra famiglia», ha ricordato il figlio Alessio, introducendo un breve audio clip che ha ripercorso una delle sue tante «lotte in favore degli ultimi» che lo portò alla misura estrema dello sciopero della fame. Una lotta contro i licenziamenti abusivi dei lavoratori, di cui lui stesso fu vittima nel 1997 quando la Mikron di Agno lo mise in strada dopo 25 anni di servizio proprio per questo suo “difetto” di stare sempre dalla parte degli operai. Così, ancora una volta, la piazza del Primo maggio (affollata da moltissimi giovani) ha potuto ascoltare una lezione di Bil Arigoni: «Nessuno deve accettare le ingiustizie!».
La parola è poi passata al presidente dell'USS Saverio Lurati. «Un salariato “normale” deve lavorare cinquant'anni per ricevere uno stipendio pari a quello che incassa un top manager in un anno. Questo è semplicemente indecente!». In riferimento alle misure di «smantellamento sociale», alle «ingiustizie salariali», alla politica delle «privatizzazioni» e dei «regali fiscali ai ricchi», Lurati ha parlato di «dichiarazione di guerra ai salariati», a cui il movimento sindacale deve rispondere «con la stessa moneta». Di qui la richiesta di «maggiore giustizia ed eguaglianza» e la necessità di «scardinare la mentalità del profitto ad ogni costo», di «garantire un salario minimo legale», di «impedire lo smantellamento delle assicurazioni sociali», di «dire basta ai programmi di risparmio e alle politiche fiscali per i ricchi». Il 1° maggio, «momento magico per il sindacato» è dunque un'occasione da sfruttare «per dare speranza e voglia di lottare a tutti coloro che finora hanno sempre chinato il capo».
La Segretaria sindacale SEV e Presidente Gruppo Donne USS-TI Françoise Gehring ha ricordato alla piazza che la festa dei lavoratori «non è retorica». Il 1° maggio «c'è chi onora una storia collettiva o chi desidera onorare una storia personale di fatica quotidiana». Storie «diverse una dall'altra, ma spesso legate da una trama comune: un mondo del lavoro in cui la logica del profitto e dei bonus faraonici dei manager hanno la priorità su tutto», ha affermato con rabbia, ricordando in particolare «l'alto tributo in termini di precarietà, insicurezza, difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro» che «le donne, ma non solo le donne», pagano. E poi il richiamo, forte, alla «solidarietà umana, prima ancora che professionale», in quanto «elemento importantissimo per rispondere nel modo più compatto possibile, alle sfide del mondo del lavoro». Perché «nessuno è al riparo dall'incertezza», ha ammonito la sindacalista del Sev.
A stretto di giro di posta, la testimonianza di Novella Chavez, militante di Unia, impiegata in una fabbrica di orologi per 22 anni e licenziata dopo una gravidanza. «Ho sempre fatto gli straordinari che mi sono stati richiesti, sia la sera, il sabato come la domenica. E alla fine mi hanno cacciata per assumere qualcuno con un salario ancora più basso del mio, per permettere all'azienda di avere qualcuno di più giovane che potesse ancora essere messo sotto pressione per rispondere ai ritmi di lavoro sempre più frenetici», ha denunciato Novella Chavez, sottolineando come al suo licenziamento abbia contribuito anche il suo ruolo di presidente della commissione del personale e le sue attività in difesa dei diritti delle colleghe di lavoro.
Diritti che vengono sempre più spesso negati anche (e di questi tempi soprattutto) ai giovani, ha rilevato dal canto suo Daniela Raggi, militante del sindacato Comedia. «I giovani –ha detto- sono sempre più disorientati» di fronte alle difficoltà ad accedere, al termine degli studi o dell’apprendistato, al mondo del lavoro e alla scelta quasi obbligata di accettare impieghi sottopagati.
Storie di diritti (negati ai lavoratori) sono infine state evocate dal toccante intervento di Bruno Pesce, sindacalista e rappresentante delle vittime italiane dell'amianto, in particolare degli operai e dei cittadini morti in seguito alla lavorazione della fibra mortale nelle fabbriche della Eternit. Un marchio di una multinazionale svizzera che al suo paese, a Casale Monferrato (Piemonte) evoca solo malattia, sofferenza e morte. Pesce ha sottolineato l’importanza del 1° maggio: per ricordare «questi morti e tutte le vittime sul lavoro», ma, più in generale, per riaffermare e difendere i diritti dei lavoratori. Un esercizio che va fatto «giorno per giorno». «I ricchi normalmente sanno da che parte stare. Tocca a noi, lavoratori, poveri, più deboli, capire che dobbiamo stare insieme», ha concluso Pesce.