Samsara: in senso lato può indicare l'oceano dell'esistenza, la vita terrena, il mondo materiale, che è permeato di dolore e di sofferenza, ed è, soprattutto, insustanziale: infatti, il mondo quale noi lo vediamo, e nel quale viviamo, altro non è che miraggio, illusione māyā. Immerso in questa illusione, l'uomo è afflitto quindi da una sorta di ignoranza metafisica (avidyā), ossia da una visione inadeguata della vita terrena e di quella ultraterrena: tale ignoranza conduce l'uomo ad agire trattenendolo così nel Saṃsāra. Nella vita attuale ogni individuo deve necessariamente compiere la propria esperienza, per poi poter giungere alla liberazione definitiva (Mukti o Mokṣa: il termine sanscrito significa, letteralmente, scioglimento), che è il fine delle religioni e delle filosofie buddiste.
Non so se esiste il samsara, ma sicuramente è così che si sta spegnendo mia sorella; nella perpetuazione di una vita di inconsapevolezza, incopiutezza e sofferenza. Una vita che termina senza essere mai stata iniziata, vissuta, goduta nel senso pieno della parola. Una costante fuga da se stessa portata all'estremo, fino al punto di non ritorno. Una profezia che si avvera, annunciata da anni, non per questo meno dolorosa. L'ho rivista oggi per la prima volta da quasi due anni, in ospedale, luogo dal quale probabilmente non uscirà più con le sue gambe. Tutto si compie secondo lo schema che lei stessa ha scelto. Non ha voluto credere a chi le diceva cosa non fare, non ha voluto credere a chi le diceva cosa fare, ed ora non crede che è giunta la stazione finale. Quarantatré anni. Una vita spezzata da se stessa. Eppure essere lì, vedere quell'anima triste intrappolata in quel corpo che la sta abbandonando, come pensare al passato, agli errori, ai litigi? Come non sentire tutto il bene che provo, il dolore di sapere che tra poco non ci sarà più. Con tutti gli sbagli che ha fatto pagare anche a me, l'unica cosa che sento è l'amore che provo, e il dolore di sapere che la sto perdendo, che non ci sarà più, che mia sorella sta per morire. La ruota gira, e prende chi deve, e prende chi è stato avvertito e non ha ascoltato. Un suicidio durato quarantatré anni, e quasi compiuto. Il dolore è per la madre che è stata quando non avevo altro, per la speranza che mi ha dato da piccola, per l'affetto che provo. Con tutti i suoi sbagli, è stata per me la persona più importante per gran parte della mia vita. Lei la vita l'ha persa, molto tempo fa, mai vissuta, mai capita, solo subita. Ed ora non la vivrà più. Non avrà modo di far crescere sua figlia avuta per una dose mascherata da amore. C'è chi dice "meglio". Io ho visto l'amore di sua figlia negli occhi, e ho pensato a cosa dire ad una bambina di meno di 3 anni che non vedrà mai più sua madre. Non importa che madre sia, un figlio ama sua madre. E so che sua madre ama sua figlia, indipendentemente da quanto poco fosse in grado di crescerla. L'amore sotto forma di atomo. Che verrà spezzato. Ho dovuto dare io la notizia ai miei genitori, non volevo fosse un medico sconosciuto a farlo. Come sempre, sono io che porto le notizie cattive. Io che fingo di non vedere la speranza residua nei loro occhi, nei loro cuori che vogliono credere che accadrà un miracolo. Li lascio dove sono, nella loro illusione, l'unica cosa che gli rimane ora, per poco, per non dover guardare e sentire che avrebbero potuto cambiare molte cose, che potevano fare altro. Non hanno avuto la forza di aprire gli occhi anni fa, perché costringerli ad aprirli ora, quando nulla è più possibile? Forse non arriva a domani, forse arriva al mese prossimo. Il medico l'ha definita una roulette...
Ed è venuta anche Misa, anche lei non la vedeva da anni. L'intera famiglia riunita dopo anni dinanzi ad un capezzale, uno dopo l'altro che lascia la stanza perché non trattiene le lacrime per un destino che si poteva cambiare. Ora non più.
Lei non lo sa, non gliel'hanno voluto dire, forse fanno bene, forse no. Ma chi sono io per giudicare? Ha importanza che conosca, oltre alla morte, anche il nome che scriveranno accanto al suo? Mi chiede cosa succederà a sua figlia, ed io non so rispondere. Posso dirle "verrà affidata"? Posso dirle che anche questo destino l'ha scritto lei? Posso dirglielo ora? La piccola la guarda con occhi grandi, adoranti, dice "mamma torna a casa". Ed io so che non lo farà più. E devo distogliere lo sguardo. Mia madre che continua a chiedere "non posso darle il mio di fegato?", una, cento, mille volte. E non posso che dire "no mamma, è troppo tardi". E lei dovrà seppellire sua figlia, la sua figlia preferita, colei che ha contribuito a portarla dove si trova ora. Io lo so, molti lo sanno, anche lei lo sa, ora. Ma ora non ha domani. la negazione portata all'estremo, ai massimi livelli, una negazione che tra poco finirà. E le parole dette in tanti anni, le parole che ho provato a far ascoltare, ora aleggiano, nascoste, mentre guardo lo svolgersi di questa sconfitta annunciata. Se potessi tornare indietro, non saprei cosa fare più di quello che ha fatto per cambiare le cose. La mia coscienza è a posto, ma il mio cuore, guardandola, si spezza. Si spezza a guardare mia nipote. Si spezza allo squillo del telefono. Eppure la vita andrà avanti. Per noi. Ci rialzeremo, ognuno a modo suo, il sole continuerà a sorgere, le stagioni passeranno, e nel cuore rimarrà il vuoto di una vita gettata via. Senza appello. Io c'ero. Io l'ho visto accadere. Io non posso fare altro, solo esserci e sperare che vada, almeno quello, nel modo più sereno possibile.
Ringrazio tanto le mie ex, che mi sono accanto in questo momento. E' un aiuto prezioso nella solitudine che mi circonda. Grazie, davvero lo apprezzo moltissimo.