Non ha ancora tre anni, eppure sa già cos'è la vita.
Lo sa perché accetta le bugie, guardando chi gliele racconta con occhi rasseganti. Non sa ancora cosa siano le bugie, ma già le riconosce.
Inizia a fare pipì al gabinetto, come i grandi, come fanno altri bambini all'asilo, così quando la nonna la porta a casa può correre dalla mamma a dire "ho atto pipì come i gandi", ricevendo come risposta un lieve grugnito, sempre che la mamma non sia "fuori", oppure a "dormire". Si perché la mamma esce spesso, va un attimo a comprare una cosa, e quell'attimo diventano quattro, cinque, sei ore. A volte anche di più. Poi torna e con voce impastata dice "ciao amore" a quel cucciolo che la guarda con paura, cercando sua mamma e non riuscendo mai a trovarla.
Ieri abbiamo giocato, poi mi ha portata a "guidare la brum del nonno", e nel cortile troviamo la mamma, figura spenta che neppure si volta sentendoci. Lei cammina sulle punte dei piedi, timorosa di darle fastidio. Stringe forte la mia mano e tenta di avvicinarsi, di andare vicino alla sua mamma. Finalmente la sente, guarda al di sopra della sua spalla e dice "ah, sei tu... la mamma ha male alle gambe, vai a giocare, vai dove stavi andando".
A. non ha risposto, non con le parole. Ma il corpo ha generato una tale quantità di segni che avrei voluto tanto sparare questi in vena a sua madre invece di quello che ci spara lei. Le spalle sono cadute, curve, l'accenno di sorriso negli occhi è stato ritirato, nel profondo, ha lasciato cadere la mando che teneva la mia lungo i fianchi, posando lo sguardo per terra. Ma essendo ancora pura, ancora semplicemente in cerca di sua madre, ha timidamente insistito "A. ha coloato Pete Pan con ziamona" le dice.
"brava, ora vai con ziamona a fare quello che volevi fare".
La guarda ancora un momento, ancora un attimo in viso, con timidezza, come chiedendole se non c'è altro, se per caso non vuole fare lei qualcosa insieme. Se è davvero sicura che deve andare, che non può salire sulle sue ginocchia, avere una carezza, un bacio, esistere... essere guardata...
Ma la mamma è in un altro mondo. Lei ancora non lo sa, lei cerca sua madre a cui cade in continuazione il cellulare dalle mani, è talmente fatta da non riuscire nemmeno a tenerlo in mano.
Mentre la tengo sulle ginocchia, nella brum del nonno a giocare ai rally, la vedo cadere da seduta, tentare di rialzarsi, cercare il cellulare che non si è nemmeno accorta di aver perso, e vorrei portare la creatura su di una stella, in un altro mondo, in un luogo dove le madri sono diverse, sanno lottare, sanno amare.
La sento dire brummm brrruuuuummm, giocare con tutti i bottoni dell'auto, lanciando fuggevoli sguardi a quella massa informe che traballante ritorna in casa, fingendo di non vedere, fingendo di non capire che il cuore di sua madre è pieno di qualcosa contro cui lei non riesce a vincere, qualcosa che viene sempre prima, sempre di più.
Vorrei piangere ma ho il cuore troppo indurito per farlo, eppure quando cala il buio e per A. giunge l'ora della nanna e la saluto, mi rincorre per la strada. Io mi fermo e le chiedo cosa c'è: "peché devi 'ndae? A. viene con te!". E qui il cuore viene pugnalato. "tesoro non posso, non puoi venire con me". "pecché'?"
Perché sono sola, perché non so nemmeno cambiarti il pannolino, perché tua madre è una stronza, perché il mondo ti ha già fatto vedere il peggio, perché sono codarda, perché ho il terrore di non saperti allevare, perché non so nemmeno da che parte cominciare con una bambina che conosco da poche settimane....
"perché da me non c'è posto, la mia casa é piccola. Questa notte dormi con la nonna, abbracciala forte, io sarò con te, vicina vicina, e domani torno a trovarti, oppure vieni tu a trovare me, va bene?"
Restia torna verso il cancello, voltandosi una, dieci, cento volte a guardarmi, poi, siccome è ancora una bambina, è in grado di sorridere alla nonna e saltarle in braccio salutandomi con la manina.
Ed io torno a casa, e porto con me un milione di domande a cui non so come rispondere.
Ed oggi mi trovo nel reparto giochi dei bambini, cercando qualcosa da tenere in casa, per quando mi viene a trovare, e mi ritrovo come un idiota a non sapere neppure quali giochi sono adatti ad una bimba di tre anni. Leggo le istruzioni, come se fossi all'Ikea, per capirci qualcosa. Guardo cosa costa un seggiolino per auto pensando magari di portarla al parco quando è bello, e quasi svengo scoprendo quanto costano. Guardo e guardo e guardo e mi rendo conto che è tutto una follia. Una follia che quegli occhi nocciola sono in grado di far sparire con un sorriso. E capisco che forse, dentro di me, da qualche parte, lei ha già deciso anche per me. Ed ho paura. Tanta, tantissima paura...